Eyjafjallajökull, Islanda. Quando la terra ha il sopravvento sull’uomo

In Islanda, più che in qualsiasi altro luogo al mondo, la natura ha dimostrato di cosa è capace quando fa incontrare due elementi diversi e incompatibili: fuoco e ghiaccio.

Qui i vulcani hanno creato terra in mezzo all’oceano e i ghiacciai hanno scolpito la lava in forme uniche, a volte surreali. La combinazione fra magma e ghiaccio ha anche il potere di generare conseguenze che vanno ben oltre i confini geografici dell’isola, come dimostrato dall’emergenza vulcanica di questa primavera. Come e quando si è formato questo inestimabile patrimonio naturale e scientifico posto al confine con il Circolo Polare Artico? L’Islanda è emersa dalle profondità dell’Oceano Atlantico 14 milioni di anni fa, alla fine di un lungo processo di crescita sottomarina iniziato almeno 6 milioni di anni prima. Ad alimentarne la crescita è stata la dorsale medio-atlantica, lunghissima catena di vulcani sottomarini che percorre da Nord a Sud l’intero Atlantico. Dal momento della sua emersione ad oggi, l’isola di ghiaccio e basalto non ha mai smesso di crescere, in eterna competizione con l’incessante erosione delle acque oceaniche. Sono 18 i vulcani islandesi che, in epoca storica, hanno dato prova della grande vitalità geologica di questa terra: il più noto è stato a lungo lo Snæfellsjökull, reso famoso nel 1864 da Giulio Verne che ambientò l’inizio del suo “Viaggio al centro della Terra” proprio all’interno del cratere di questo strato-vulcano, oggi quiescente. Che i vulcani islandesi potessero arrecare danni incalcolabili anche a migliaia di km di distanza è noto fin dal 1783, anno in cui dalla frattura vulcanica di Laki, lunga 25 km, vennero eruttati in pochi mesi 12 km cubi di magma (per confronto, l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. ne produsse ‘appena’ 4!). Accanto a questo gigantesco volume di lava, dalla frattura nella crosta terrestre vennero espulse in atmosfera 500 milioni di tonnellate di gas vulcanici, in gran parte composti da zolfo e fluoro. Nei mesi successivi all’eruzione, la nube bluastra causò la distruzione di gran parte dei pascoli e delle coltivazioni locali; la carestia che ne seguì fece migliaia di vittime fra la popolazione islandese. Ma la nube portò anche ad un sensibile e repentino abbassamento delle temperature sia nel nostro continente che negli Stati Uniti orientali; qui, Benjamin Franklin fu il primo ad individuare il nesso causale fra quel terribile sconvolgimento del clima e l’eruzione nell’isola dell’Atlantico settentrionale. L’Europa fu colpita con inaudita violenza dagli effetti dell’eruzione: recenti studi stimano che la combinazione di gelate e carestia causò la morte di 23.000 persone nella sola Inghilterra. Anche durante la recente attività esplosiva dell’Eyjafjallajökull sono stati emessi gas vulcanici, soprattutto anidride solforosa. Ma fortunatamente i volumi emessi non sono stati tali da innescare un peggioramento climatico, se non di natura temporanea. D’altro canto, mentre l’eruzione del 1783 è stata esclusivamente ‘effusiva’, quella che ha annientato il traffico aereo nella primavera di quest’anno è stata invece tipicamente esplosiva. Ciò che distingue l’attività esplosiva di uno qualsiasi dei vulcani italiani da quella di un vulcano islandese come l’Eyjafjallajökull è l’interazione esplosiva fra magma e ghiaccio. Presso i ghiacciai islandesi coperti da un ghiacciaio sommitale, lo scioglimento del ghiaccio ad opera del magma in risalita provoca il massiccio afflusso d’acqua nel condotto vulcanico. Qui l’acqua, al contatto con magma basaltico con temperatura di 1000 °C, si trasforma istantaneamente in vapore acqueo, che rappresenta la ‘miccia’ per la frammentazione esplosiva del magma in innumerevoli e finissimi frammenti di cenere vulcanica. Ad aprile e maggio 2010, le colonne eruttive prodotte da questo processo si innalzavano anche fino a 10 km sopra la cima dell’Eyjafjallajökull, per essere poi trasportate a Sud-Est dai venti fino a paralizzare gli aeroporti europei. La minaccia costituita dalle nubi di ceneri per il traffico aereo è comunque già nota da tempo. Negli ultimi 15 anni più di 80 aerei sono entrati in contatto con nubi di ceneri emesse da vulcani in tutto il mondo. In sette di questi casi si è sfiorata la tragedia a causa dell’improvvisa perdita di potenza dei motori. Anche quando la concentrazione delle nubi di ceneri non è tale da causare il blocco dei motori, il potere abrasivo delle particelle silicee è in grado di danneggiare la fusoliera e i finestrini della cabina di pilotaggio. Eruzioni come quella del vulcano Eyjafjallajökull non si limitano all’emissione di nubi di ceneri, ma sono di norma accompagnate da gigantesche inondazioni (spettacolari riprese sono disponibili su www.youtube.com) associate allo scioglimento dei ghiacciai sommitali. Nel 1996 il mondo ha assistito alla maggiore ‘inondazione vulcanica’ a memoria d’uomo ad opera del vulcano Grímsvötn, grande caldera completamente sommersa al di sotto del ghiacciaio Vatnajökull. Ad ottobre del 1996 l’emissione sub-glaciale di 0.7 km3 di lava ha causato lo scioglimento di parte della calotta glaciale e l’innesco di un’inondazione alimentata da 3.4 km3 d’acqua, che ha devastato un’area sconfinata a Sud del grande ghiacciaio. immaginate quali sarebbero state le conseguenze in un’area densamente popolata. L’emergenza di aprile e maggio 2010 non è che uno degli innumerevoli episodi eruttivi che hanno caratterizzato il vulcanismo islandese negli ultimi 14 milioni di anni. Quasi dimenticata è oggi l’eruzione storica dell’Hekla – il più attivo vulcano islandese – che, nel 1947-48 sprigionò una colonna eruttiva che raggiunse i 20 km nell’atmosfera, causando una pioggia di pomici e ceneri sull’isola. Una parte della nube venne poi trasportata dai venti per circa 3000 km in direzione Est, fino a raggiungere Helsinki, dove depose una fitta coltre di ceneri. Il vulcano Eyjafjallajökull è stato protagonista di quello che, a fronte della vastità del tempo geologico, appare solo un episodio di una storia iniziata molti milioni di anni fa e della quale nessuno può prevedere il temine. La prossima eruzione potrebbe (fra 10, 100 o 1000 anni), come tristemente testimoniano gli eventi del 1783, arrecare conseguenze più importanti di un blocco temporaneo del traffico aereo. E’ forse tempo che ci si interroghi sulle misure preventive da adottare nel caso un evento vulcanico a grande scala vada in futuro a minacciare l’integrità della società globale.

 

Federico Aligi Pasquarè
Giornalista Pubblicista e Docente diComunicazione Ambientale
Università degli Studi dell’Insubria
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