Una volta eravamo selvaggi…o forse no
- 31 marzo 2014
- Comunicazione
- Categoria:Blog
Una normalissima giornata di lavoro, un torrente in una zona poco battuta, meta di una prossima escursione, un mucchio di ossi sulla sponda, ossi di cervo, un femore e una tibia… tutto iniziò così.
A tutte noi Guide è capitato e sicuramente più di una volta di trovare durante le nostre escursioni degli ossi, o una roccia particolare, che ha catturato l’attenzione in un momento di transito lungo un sentiero, o un ramo dalla forma particolare. Magari avete anche raccolto e portato a casa qualcuno di questi elementi e ora come dei cimeli giacciono su qualche scrivania o in qualche cassa o nel vostro giardino; ma torniamo a quegli ossi sulla riva del torrente. Mi colpì da subito la loro robustezza e il bel bianco eburneo, dovevo farci qualcosa, non sapevo bene cosa, magari un monile, un ciondolo o qualcosa di simile. Tornato a casa iniziai a pensare e mi vennero in mente oggetti esotici visti durante viaggi in terre lontane, oggetti primitivi fatti da popoli nativi, arpioni, ami, semplici aghi crinali magari, si insomma quelle bacchette per tener su i capelli femminili. Lo ammetto il primo manufatto venne realizzato utilizzando strumenti moderni, un coltello di metallo, qualche lima e della carta abrasiva; quella prima punta in osso di cervo ancora oggi dopo dieci anni è appesa al mio collo. Iniziando le prime ricerche sui manufatti realizzati in osso mi imbattei nelle foto di reperti preistorici, in osso e corno, chegià avevo comunque studiato durante vari corsi di archeologia. Da lì il passo fu breve e la passione travolgente, incominciai ad informarmi sui metodi di lavorazione e gli strumenti per lavorare l’osso, iniziai a utilizzare rudimentali lame di selce, recuperata durante un viaggio sulle coste della Normandia e di ossidiana, che potevo trovare in Sardegna senza grosse difficoltà. Stavo, senza rendermene conto, ripercorrendo le tappe dell’evoluzione tecnica dei nostri antenati e scoprii che stavo muovendo i miei primi piccoli passi in una materia ben precisa, l’archeologia sperimentale. Ora in ogni uscita sul territorio avevo lo sguardo e l’attenzione di un uomo della preistoria, vedevo propulsori nelle biforcazioni dei rami, asce litiche nei ciottoli dei torrenti, archi nei rami di tassi e robinie, strumenti in osso nei resti degli animali trovati sul terreno, da cui prelevavo tutto il possibile, dai tendini ai lembi di pelle. Incominciai a confrontarmi con chi da anni già svolgeva queste attività, come il maestro italiano di Pistoia Alfio Tomaselli e altri archeologi o meno sparsi sul territorio italiano, ma anche negli spettacolari archéodrome francesi, dove la sperimentazione e rievocazione preistorica esiste da molti più anni. Il passo successivo fu quello di coniugare questa grande passione al mio lavoro di Guida, nulla di più facile avrete già capito, chi più di noi forse è il diretto discendente di quegli uomini che vagavano nella natura interrogandola, raccontandola di generazione in generazione e traendone il sostentamento? Capii subito che la mera ricostruzione dei manufatti non era quello che cercavo, ma che mi sarebbe piaciuto di più declinare questa attività verso un tipo di formazione esperienziale. Costruii delle escursioni a tema dove oltre il dover ricostruire oggetti bisognasse prima trovare la materia prima e poi utilizzarla concretamente, nacquero i week end preistorici, in cui dimenticarsi in parte di vivere nel 2000 e tornare ‘selvaggi’; i partecipanti scoprirono presto che forse erano più evoluti migliaia di anni fa i nostri antenati, per certi aspetti, che non noi oggi. Durante i week end oltre alla sperimentazione strumentale si compie anche quella alimentare, cibandosi di erbe e bacche spontanee, saperi da Guida trasmessi ai partecipanti, si impara ad accendere il fuoco sia con i metodi a frizione (legno su legno) che a percussione (pietre focaie) e col fuoco si cucina la carne, questa sì, portata da casa. La caccia, attività preponderante nella preistoria non è però trascurata, si tira con propulsori paleolitici ed archi neolitici a dei bersagli nel campo di caccia allestito, si impara a riconoscere le tracce ed impronte delle possibili prede che se incontrate si salutano rispettosamente.
La pietra scheggiata
Dal lontano Homo habilis, che creò il primo strumento usato da mani umane, ne è passato di tempo, ma cercare di ripetere oggi quei gesti che portarono alla realizzazione di quei primi strumenti ci riporta ad utilizzare una curiosità e una manualità non comuni. Prima di tutto bisogna imparare a distinguere quali rocce siano adatte alla lavorazione scheggiata, le già citate selce e ossidiana sono sicuramente le più note ed utilizzate, ma nel corso della preistoria l’uomo ha imparato ad utilizzare anche il diaspro (roccia vulcanica effusiva), alcuni tipi di calcare (il ceroide ad esempio) alcuni tipi di quarziti. L’industria litica, così si chiama, mosse i suoi primi passi partendo dalla realizzazione di un unico strumento a partire da un ciottolo (industria litica su ciottolo) come ad esempio il chopper e l’amigdala, strumenti unici polifunzionali, dei veri e propri coltellini svizzeri, per poi molti millenni dopo arrivare ad un industria litica su scheggia super specializzata. Con abili mosse si impara a realizzare da un nucleo delle semplici lame o dei bulini (piccole pialle), perforatori, raschiatoi. Ancora più avanti, nel Neolitico l’uomo imparò non solo a scheggiare, ma anche a levigare la pietra realizzando strumenti efficaci come le asce (già esistenti in pietra scheggiata) ed i martelli.
L’osso e il corno
Dopo aver appreso la lavorazione della pietra scheggiata questa venne usata per la lavorazione di altri materiali come il legno, l’osso e il corno. Mentre di legno però abbiamo ben pochi manufatti arrivati fino a noi, possiamo ammirarne di stupefacenti realizzati in osso, corno e avorio. Flauti, propulsori (strumenti per il lancio di lunghe frecce), aghi, monili, bottoni, fibbie. Estratti dagli animali cacciati o trovati sul terreno, osso e corno, erano materiali abbondanti in natura, belli e duraturi. Dell’animale cacciato non si buttava via nulla, la pelle veniva sgrassata e successivamente conciata in vari modi, dalla concia con il cervello dell’animale stesso a quella al fumo o in acqua altamente tanninica ottenuta dalla macerazione di foglie, cortecce e galle di molti tipi di essenze arboree. I tendini, utilissimi per ottenere fili a secco per gli abiti o legature umide per strumenti di ogni tipo, bolliti poi a lungo permettevano di ottenere della colla utilizzata per immanicare strumenti. Colle universali venivano realizzate poi unendo al tendine, che teme l’umidità, della resina che invece è impermeabile, ma che ha l’inconveniente di cristallizzare e allora si pensò di aggiungere la cera d’api nella giusta proporzione in modo da avere un adesivo tenace, ma elastico. Gli ossi cavi venivano trasformati in strumenti come già detto, i porosi bruciati come combustibile.
Il fuoco
Non ci si pensa mai, ma il primo metodo di accensione del fuoco diretto, il fiammifero a sfregamento, è un invenzione che risale appena al 1827, prima di allora e per millenni i soli metodi di accensione furono metodi indiretti cioè bisognosi di una scintilla che andasse ad alimentare un esca per il fuoco appunto. E’ opinione consolidata, benché non certa, che il primo uomo ad utilizzare con cognizione il fuoco sia stato l’Homo erectus, ma che solo l’Homo sapiens sia stato per la prima volta in grado di accenderlo in modo non casuale. Esistono fondamentalmente due sistemi per l’accensione del fuoco con metodi primitivi indiretti, quello per frizione (legno su legno) e quello a percussione (pietra su pietra). Per il primo si utilizzano due tipi diversi di legni, uno morbido che servirà da braciere ed uno duro, il bastoncino per intenderci, che andrà a sfregare sul primo. Ci sono legni migliori di altri per questo scopo, l’importante è evitare le conifere che hanno la tendenza a non produrre polvere di legno allo sfregamento, indispensabile per l’accensione della brace. Per il metodo a percussione invece si utilizzano rocce particolari, ricche di minerali di ferro come la nota pirite e la più rara marcasite, note come pietre focaie. Queste vanno percosse appunto su rocce dure come la selce, in schegge o noduli o anche quarzi, quarziti ecc. La percussione genererà delle persistenti scintille, che altro non sono che particelle di ferro incandescenti che andranno poi messe in condizione di innescare appositi materiali detti ‘esche’. L’esca più conosciuta per l’innesco del fuoco, da vari ritrovamenti, il più importante dei quali il kit d’accensione di Ötzi (la mummia di Similaun in Alto Adige) è un fungo parassita il Fomes fomentarius, usato anche in tempi storici in tutta Europa, anche dai vostri bisnonni, informarsi per credere… Altre esche più occasionali e legate alla stagionalità possono essere le lanugini delle infiorescenze di Pioppo (Populus sp.), le infiorescenze di Tifa (Tipha latifolia), l’interno dell’infiorescenza della Ferula (Ferula communis) e altre. Con la scoperta della metallurgia la percussione avvenne tra un pezzo di metallo e una roccia (selce, quarzo ecc.) ed è per questo motivo che erroneamente tali rocce/minerali vengono oggi chiamate pietre focaie, nonostante dalla percussione tra loro non trarrete mai una scintilla utile all’accensione del fuoco.
Pittura e scultura
Le lucerne alimentate dal grasso portavano il fuoco dentro le grotte dove venivano realizzate le prime forme d’arte pittorica. Da quel che ci dicono gli esperti d’arte le pitture del Paleolitico superiore sono tra le rappresentazioni più stupefacenti dell’intera storia dell’arte. Anticipano infatti di millenni tecniche che solo da Giotto in poi saranno di uso comune. Dureranno misteriosamente qualche decina di migliaia d’anni per poi lasciare il campo a tecniche più stilizzate ed in un certo senso meno raffinate. Anche in questo campo cercare di riprodurre quelle pitture richiede la conoscenza dei materiali utilizzati come le ocre (ossidi di ferro) da cui si ottenevano tutti i colori dal giallo al rosso, il carbone e l’ossido di manganese da cui si ricavava il nero, il bianco veniva ricavato dal caolino (argilla bianca). Le tecniche erano già quelle a pennello, in pelo animale, a cui si accompagnavano il tampone e la tecnica a spruzzo attraverso cannule d’osso o di canna. I pigmenti dalle analisi effettuate sulle pitture erano miscelati con grasso animale, tuorlo d’uovo o sangue per ottenere la consistenza desiderata e conservati dentro contenitori come le conchiglie.
Sperimentazione alimentare
Come si cucinava e cosa si mangiava durante la preistoria? Queste le domande a cui dare risposta e la partenza per la sperimentazione alimentare. Qui come in nessun’altra delle branche dell’argomento che trattiamo la prudenza è d’obbligo, ma essendo la rivista rivolta a delle Guide Ambientali Escursionistiche forse la precisazione è meno doverosa che in un articolo su una rivista di massa. Dovrebbe essere infatti conoscenza acquisita per una Guida conoscere le specie vegetali tossiche e mortali per non incorrere in spiacevoli inconvenienti. Se questo è vero nella pratica escursionistica di tutti i giorni, nel tentare di ricostruire un pasto preistorico l’attenzione deve essere doppia, soprattutto se deciderete di far assaggiare qualcosa ai vostri clienti, nel dubbio desistete. Non è raro sentire di intossicazioni da parte di chi ha scambiato una Mandragora per una bietola selvatica o un colchico autunnale per un aglio orsino. Inutile ricordare che per i funghi è necessaria una consulenza micologica autorizzata. Più tranquillamente potrete preparare un arrosto preistorico cotto su uno spiedo in legno (non di oleandro mi raccomando), cimentarvi nella cottura a vapore sottoterra, interrando braci e carne o cuocere delle rudimentali piadine ottenute dalla farina che avrete macinato con macine in pietra basaltica. Un’altra interessante attività è provare ad esempio ad essiccare ed affumicare carne e pesce. Nel nostro mondo che ormai vede nella conservazione degli alimenti delle aberrazioni come conservare tutto in frigorifero per paura di non si sa bene cosa (come le uova ad esempio), pensare che della semplice polpa di carne cruda si possa conservare semplicemente appendendola all’aria fredda invernale e al massimo affumicarla un po’ con trucioli di legno aromatico, sembra impossibile ed invece provateci ed otterrete un ottimo alimento anche per le vostre escursioni di più giorni, per di più senza sale per evitare anche problemi a chi soffre di pressione alta. Come avrete capito da queste poche righe il campo di cui stiamo parlando è talmente vasto che difficilmente un articolo può risultare esaustivo, senza contare che la pratica e la manualità la fanno da padrone in questa disciplina. Avrete notato che i nostri antenati preistorici furono senza dubbio i più grandi naturalisti della storia avendo fatto ‘sperimentazione’ con tutto ciò che li circondava ed avendo conoscenze seppur empiriche trasversali in tutti i campi delle scienze. Per riapprendere perciò parte delle loro conoscenze, ci aiutano in parte i libri, ma soprattutto dovremmo essere disposti a mettere mano, nel vero senso della parola, a rocce, legni, terra, ossi, tagliarci con la pietra scheggiata e bruciarci qualche dito con il fuoco.
Laboratori e programmi
La materia si presta alla realizzazione dei più svariati laboratori come potete immaginare, senza scomodare troppo il termine ‘archeologia sperimentale’che magari lasceremo a chi realmente studia per mestiere questi argomenti, nulla vieta di far rivivere ai nostri clienti atmosfere, sensazioni ed emozioni del passato. Più autentica e coerente sarà la vostra proposta, più otterrete il coinvolgimento delle persone. In una proposta come questa starete sviluppando sia temi dell’educazione ambientale, creando dei confronti tra quel lontano passato e i nostri giorni, sia muovendo dei passi dentro il mondo dell’interpretazione ambientale. Potrete anche decidere di declinare l’argomento verso le tecniche di survival, ma cercate sempre di distinguere nettamente i due campi per evitare contaminazioni pericolose.
Se il vostro campo è quello della didattica ed accompagnamento scolastico la classe di riferimento ad oggi sarà la terza elementare dove fortunatamente la preistoria è trattata poco e male e quindi la vostra proposta sia un approfondimento utile al piano formativo interno della scuola. Mi capita di realizzare sia interi progetti di molte ore, ma anche la singola uscita giornaliera dove associare escursione a laboratori all’aperto in cui utilizzare arco, frecce e propulsori che andranno a colpire animali bersaglio del passato, per non dare cattivi input. Per i ragazzi più grandi potrete organizzare campi di vera avventura primitiva; mi è capitato di organizzare campi all’interno di grotte naturali e ripari sottoroccia per gruppi di tredicenni ‘malati’ di tecnologia e non hanno rimpianto il loro smartphone. Potete proporre, una volta trovato il posticino giusto, dei week end familiari più o meno primitivi a seconda delle esigenze o dei veri e propri trekking itineranti di più giorni, ma con lo spirito, strumenti e necessità del passato. Una volta apprese le principali tecniche e attività potreste poi pensare di proporre dei corsi per grandi e piccini o proporre “Una giornata nella preistoria” al vostro agriturismo di fiducia con cui collaborate, magari scrivendo anche un menù attinente e coerente (anche senza trovare mammut alla cacciatora o rinoceronte lanoso in salmì). Se può tornarvi utile potete consultare il sito dell’Associazione Antichi Cammini www.antichicammini.it dove troverete foto e programmi per qualche spunto o guardare il video del primo week end preistorico realizzato ormai tanti anni fa, quasi Paleolitico…
Matteo Casula
Coordinatore Aigae Sardegna
info@antichicammini.it