L’immagine raccontata Montagna e fotografia, per me un binomio inscindibile.
- 30 aprile 2014
- Comunicazione
- Categoria:Blog
La fauna selvatica può essere fotografata in due modi diversi: con l’appostamento all’interno di un capanno mimetico oppure attraverso quella che viene comunemente definita caccia fotografica vacante.
E’ ovvio che tra le due forme quella che produce maggiori successi è la prima, soprattutto quando l’animale che si intende fotografare è piuttosto schivo e diffidente verso l’uomo, come, ad esempio, l’Orso bruno marsicano. A ciò si aggiunga che, attualmente, il numero di orsi presenti nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise si aggira attorno alle 40-50 unità, quindi le possibilità di avvistamento sono ridotte ai minimi termini. Tuttavia, c’è sempre l’eccezione alla regola. Tempo fa invitai un mio amico emiliano a trascorrere una giornata tra le montagne del Pnalm e, tra i vari sentieri, scelsi il K6, che dalle Sorgenti delle Donne conduce al rifugio di Forca Resuni. Quel giorno partimmo un po’ tardi e con me portai lo stretto necessario tra cui un’attrezzatura fotografica piuttosto snella, composta da un corpo macchina reflex e due obiettivi zoom 35-105 e 70-200.
La giornata non era delle migliori da un punto di vista meteorologico, tuttavia, l’esperienza acquisita nel corso degli anni mi suggeriva di proseguire nell’escursione, consapevole del fatto che il tempo in montagna cambia repentinamente.Durante il cammino incontrammo vari escursionisti, tra cui due anziani coniugi di Barrea con cui ci intrattenemmo.Dopo aver scambiato qualche battuta, i due coniugi ripresero la strada del ritorno mentre io e il mio amico restammo ancora un po’. Dopo poco, l’anziana donna che si era congedata da noi tornava sui suoi passi avvertendoci che poco più sotto c’era un giovane Orso marsicano al pascolo. Riposi immediatamente tutto quello che avevo nello zaino e mi precipitai sul posto indicatomi dalla signora. Arrivai con il cuore in gola e lì mi apparve un orso di giovane età al pascolo. L’emozione fu tanta, afferrai la macchina fotografica e feci appena in tempo a fare qualche scatto. Purtroppo, l’ottica non adeguata al caso specifico e il poco tempo a disposizione non mi consentirono di effettuare delle foto a pieno formato. Quel magico momento infatti durò solo pochi istanti, dopo poco l’orso si allontanò facendo perdere le sue tracce nel folto della faggeta. Eventi come quello descritto sono oggi purtroppo poco frequenti. In effetti, il numero esiguo di orsi presenti nel parco, come sopra detto, e non ultimo la notevole presenza di turisti nelle aree protette, non consentono frequenti avvistamenti, anzi, spero proprio che un numero così basso di esemplari non costituisca il punto di non ritorno per l’estinzione della specie. Oggi le forze in campo per la salvaguardia dell’orso nell’Appennino centrale sono diverse, forse quello che però manca è un maggior coordinamento tra le stesse affinché l’azione sia ancora più incisiva. Del resto, è difficile comprendere perché nel Trentino la reintroduzione del plantigrado, lì praticamente estinto, sia avvenuta con successo, mentre qui in Appennino centrale, dove l’orso non è mai scomparso completamente, non si riesca ad attuare una protezione più efficace.
Marco Pantanella
Socio Aigae Abruzzo
mpantanella65@gmail.com