Le grotte, fragili e fantastiche e l’educazione ambientale

Perché le persone vanno a visitare le grotte? Le risposte sono molteplici: c’è chi vuole vedere un ambiente fuori dal comune, cerca la meraviglia e la natura nell’intimità delle cavità carsiche, è propensa a entrare in contatto con ambienti e visioni, che sembrano appena usciti dalla fantasia di un artista: dalle piccole forme osservabili in un cucchiaio d’acqua, a spazi di decine di metri o anche più.


C’è chi vuole praticare uno sport diverso dal solito, dove sono richieste concentrazione, tranquillità, resistenza fisica, dove cioè si è obbligati a concentrarsi su se stessi, al contrario di quel che avviene durante la routine di lavoro settimanale. C’è chi studia gli adattamenti della vita in un ambiente così particolare. Di sicuro chiunque sia entrato per la prima volta in una grotta prova qualcosa di particolare, sensazioni arcane, sopite, che affiorano in superficie. La spinta della curiosità si confronta con la paura dell’ignoto e viene quasi da pensare che quello che stiamo per varcare sia un confine, che stiamo per entrare in qualcosa di sacro. Se guardiamo al nostro passato non dobbiamo stupirci di queste sensazioni. Il dipinto più antico del mondo è stato fatto in una grotta delle Prealpi (la grotta di Fumane, nel Veronese) e rappresenta uno sciamano. Grotte della Francia e della Spagna hanno conservato dipinti del paleolitico che tolgono il fiato, legati sempre alla sfera spirituale (se vi siete persi il documentario Cave of Forgotten Dreams di W. Herzog rimediate subito!). La stessa religione attuale diffusa oggi in Occidente riporta il mito della grotta, legato sia alla natività che alla resurrezione. Nel Medioevo ogni valle aveva il suo eremita che andava a vivere, più o meno in ascesi, rifugiandosi in queste cavità. Le abbiamo abitate a lungo, probabilmente contendendole con gli orsi che ora usiamo mettere nel lettino dei nostri figli, ci abbiamo seppellito i morti, ci abbiamo costruito altari a Pan, ai centauri, vi abbiamo visto il mito della sapienza consegnata dagli dei agli uomini, le abbiamo rifuggite in seguito come tane di streghe, orchi, fate. E infine, negli ultimi settant’anni, le abbiamo usate come discariche, buchi da riempire con i rifiuti ingombranti e non solo.

Ne abbiamo inquinato le acque, perché quello che si riversa in superficie poi viene convogliato proprio in queste cavità. Perché far visitare le grotte? Il mio augurio, come Guida che per tutta l’estate porta persone in grotta, è che la bellissima sensazione di mistero e sacro descritta prima affiori nelle persone che conduco per la prima volta nella loro vita in grotta. Mi auguro che chiunque sia marchiato da questa sensazione, e quindi con questo ricordo impresso, sia poi incapace in futuro di deturpare le grotte o comunque favorevole alla loro conservazione. Spero anche che sia il punto di partenza, la breccia che si apre su una diffusa sensibilità nei confronti della natura e della sua conservazione. Ecco perché val la pena far visitare le grotte. Ecco perché non sempre val la pena far visitare le grotte La gita scolastica di fine anno che feci, come studente del primo anno di liceo, quindi parecchi anni fa, aveva una meta particolare: l’insegnante di scienze l’aveva spuntata, saremmo andati a visitare le grotte di Frasassi.

Ad oggi non riesco a ricordare niente di quella visita, nessuna sensazione, nessun contatto vero con la grotta. Ricordo vagamente una specie di tenda all’interno della grotta nella quale ci avevano detto che erano rinchiuse alcune persone per fare degli studi sui ritmi circadiani, pareva fossero addirittura astronauti. Gli ambienti erano tutti illuminati, mettevano in risalto concrezioni stupende che non ricordo, ma toglievano l’elemento principale che caratterizza l’ambiente ipogeo: il buio. 

Non mi sentivo sottoterra, non prestavo attenzione ai rumori intorno a me: il gocciolìo delle stalattiti, lo scorrere delle acque dentro a qualche frattura. Con la luce diffusa si spengono i suoni. Non badavo a dove mettevo i piedi: per terra c’era una colata di cemento, gradini e ringhiere quando servivano. Era come camminare a scuola! Qualche anno dopo ebbi la fortuna di entrare in una grotta non turistica: nei pressi di uno scavo archeologico dove lavoravo come volontario si apriva una grotta. Uno dei volontari che operava con me era anche speleologo e il giorno dopo che gli rivolsi domande riguardo la cavità, che si chiama il Buso del Meo, mi portò un caschetto con luce e mi disse che se volevo potevo andare a visitarla da solo, tanto era una grotta facile. Inutile dirvi che di quella grotta porto ancora un ricordo speciale, e che a quella visita poi ne seguirono altre! Ricordo di essermi fermato ore ad osservare ditteri e ragni che pullulavano sulle pareti, ricordo la paura quando dovevo strisciare sapendo di avere una montagna intera sopra di me, il mistero di cosa avrei trovato oltre e infine la sorpresa nel vedersi aprire un salone di cui non riuscivo a scorgere il soffitto.

Dal confronto delle due esperienze ho evinto che chi ha progettato la fruizione turistica alle grotte di Frasassi ha fatto un bel po’ di danni. Danni all’ambiente di grotta, perché illuminare a giorno un ambiente caratterizzato dall’essere buio è malsano in modo lapalissiano, ma danni anche ai visitatori perché in realtà non vanno a visitare un ambiente di grotta e si perdono il bello di una simile esperienza. Far vedere delle belle stalattiti non basta per rendere interessante una visita speleologica, o comunque non dev’essere l’obiettivo della visita, se non desideriamo una visita piatta e noiosa. Qual è quindi il confine tra il rendere fruibile una grotta ai visitatori e salvaguardarne l’ambiente? Personalmente mi auguro che nessuna grotta venga ancora resa turistica, perché significherebbe semplicemente rovinarla. Il turismo invasivo ad alto impatto che mira a stupire più che a fornire esperienze vere è deleterio sia per l’ambiente che per la cultura delle persone. L’alternativa è quella di entrare in grotta ‘in punta di piedi’, passare senza lasciare traccia, valutare fin dove portare e dove evitare il passaggio delle persone, per esempio per il disturbo che potremmo arrecare agli animali di grotta. Portare piccoli gruppi e in tempi non prolungati. Prepararli prima di entrare all’esperienza che vivranno. Valorizzare anche quello che sta attorno e fuori la grotta.

 

 

Presidiarla per evitare danni. La grotta, laboratorio naturale Quindi, ci sono modi sostenibili per visitare un grotta, magari rinunciando a qualcosa ‘di troppo’ e in grotta si può anche educare alla scienza (e cos’è questo se non il principio del concetto di sostenibilità?) perché l’ambiente offre moltissimo ad una gran serie di discipline. Ci sono parametri fisici, come la luce, che varia in modo repentino a partire dall’ingresso fino alle zone più interne completamente buie e che permette di raccogliere misurazioni interessanti che diventano utili per capire ad esempio la presenza dei vegetali.

 

Non sono necessari strumenti sofisticati, si possono utilizzare anche sistemi ‘fai da te’ (fino a quando riesco a leggere le lancette dell’orologio?) l’importante è che l’esperienza sia fatta direttamente da chi la scienza la sta cercando e la sta costruendo intorno a sé, come i molti ragazzi che porto nel Buso della Rana a Monte di Malo (VI) o in Tanella a Torri del Benaco (VR) dove le dimensioni e la comodità permettono di accogliere le scuole. Poi c’è sempre l’acqua, che nelle grotte carsiche di sicuro è, o e stata, presente: ogni Gae che come me fa educazione ambientale sa per certo che questo elemento (oltre che molto richiesto dalle scuole!) si presta benissimo ad attività varie e interessanti: è l’habitat di organismi acquatici che in grotta si arricchiscono anche di adattamenti specifici e ha una sua la temperatura che può raccontare molto di una grotta. Si può andare anche nello specifico con l’analisi dell’ossigeno, dei nitrati o dei fosfati che permettono di valutarne la qualità. Questo ci può raccontare di quanto una grotta sia legata a ciò che le sta attorno (molto più di quello che normalmente pensiamo) e può dare spunto per allargare le osservazioni anche alle aree circostanti. Non è un caso che uno dei percorsi didattici che mi capita di seguire presso il Buso della Rana sia proprio quello del ciclo dell’acqua, partendo dalla scoperta e dall’analisi delle doline dell’altopiano che la sovrasta, fino appunto ai rami interni in cui le acque scorrono. C’è poi l’aria che si muove, dall’interno verso l’esterno (o viceversa in base alle stagioni e alla morfologia) che diventa utile per fare meteorologia e fisica e con un semplice anemometro diventa elemento da ‘raccogliere’ e caratterizzare.

Poi, sembra ovvio, ma in grotta ci sono le rocce e spesso nelle rocce ci sono i fossili, che raccontano la storia di tutto quello che ci sta attorno. Da buon naturalista non posso tralasciare il tema centrale e vincolante di molti miei studi, l’evoluzione: nelle grotte, come avviene sulle isole, ci sono fenomeni di deriva e di isolamento e l’adattamento degli animali ad un ambiente estremo diventa un tema fondamentale. Il concetto risulta più facile da spiegare se si tengono tutte le luci spente per qualche minuto e ci si fa una semplice domanda: possiamo uscire dalla grotta in questa situazione? No? Cosa ci servirebbe?… Le risposte arrivano sempre ma a parte “la luce del cellulare!” portano tutte alla migliore comprensione dei fenomeni adattativi ed evolutivi. Insomma, in grotta trovo molto di quello che ritengo utile per fare scienza, senza contare che la conoscenza di un ambiente così particolare porta al suo rispetto, e chi rispetta qualcosa poi lo protegge. La sicurezza In quanto Gae non posso non fare della sicurezza delle persone che accompagno uno delle mie preoccupazioni principali. Per questo è ovvio che non tutte le grotte si prestano alle attività scolastiche o alla visita. In ogni caso, anche per fare pochi metri all’interno di qualsiasi anfratto, caschetto e pila frontale sono d’obbligo. Ma non meno importanti ritengo siano la preparazione del gruppo sul come muoversi in grotta, tra sassi scivolosi, soffitti bassi, rocce esposte. Insomma, se vogliamo, in grotta si fa anche educazione alla sicurezza e al lavoro di gruppo perché più che mai qui è necessario esserne parte, aiutarsi, aspettare e avere a volte molta pazienza: tutte regole che se non rispettate possono influire in modo negativo sulla sicurezza.

La grotta che unisce La grotta (certo, non solo lei!) può anche unire, e lo fa spesso. In particolare l’ha fatto quest’anno, precisamente il 5 luglio, quando 120 partecipanti tra accompagnatori e accompagnati hanno potuto visitare il Buso della Rana in modo diverso: gli uni vivendo delle emozioni molto forti, difficilmente raccontabili se non vissute personalmente e gli altri perché in qualità di diversamente abili hanno sfidato la loro condizione fisica grazie alla volontà, al coraggio ed alla determinazione. Tra i tanti ragazzi che sono entrati in grotta, i gemelli Giulio e Giotto dalla nascita sulla sedia a rotelle oramai sono alla loro quarta esperienza in grotta, sono diventati degli esperti che grazie alla loro esperienza aiutano altri ragazzi, anche con disabilità minori, ad andare oltre, come i ragazzi delle cooperative sociali, Alice che era accompagnata da suo padre il quale durante il giro in grotta entusiasta le diceva “siamo entrati anche in grotta… ci pensi… anche in grotta!” oppure Luisa che è entrata in grotta assieme a suo marito ed alla figlia Claudia che faceva a tutti un sacco di domande su come si formano le stalattiti e le stalagmiti, sulle piccole creature che vivono nelle grotte e tante altre.
Ad organizzare la manifestazione lo Speleo Club Forlì del CAI di Forlì. Ma veramente tantissime le collaborazioni, i patrocini, gli aiuti. Oltre al patrocinio della Federazione Speleologica della Regione Emilia-Romagna (Fsrer), della Scuola Nazionale di Speleologia (Sns) del Club Alpino Italiano (Cai), del Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico (Cnsas) e del Comune Monte di Malo (VI), l’S-Team di Sandro Sedran ha filmato l’intera iniziativa, il Gruppo Grotte Trevisiol del Cai di Vicenza.
I gruppi che hanno dato il loro importantissimo contributo provenivano da tutta Italia: Trentino, Lombardia, Liguria, Umbria, Abruzzo e ovviamente Veneto ed Emilia-Romagna. E in tutto questo non è mancato l’appoggio logistico del nostro gruppo di Biosphaera che ha fornito materiali, accoglienza, strutture. Insomma, la grotta, per me (per noi) rappresenta molto di ciò che l’ambiente naturale e la sua conoscenza, in generale, offre: la scoperta, il mistero, il limite, la conoscenza… e in questo insieme di aspetti la figura della Guida rappresenta un tassello importante, direi fondamentale.

Buone escursioni.

Luca Corradi e Michele Ferretto
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