L’Oro Verde dell’Etna: viaggio attraverso un’eccellenza italiana, il Pistacchio di Bronte

Il pistacchio dall’arabo ‘frastuch’ – in dialetto brontese, frastuca – è una pianta antichissima citata in vari testi antichi dalla Genesi all’Antico Testamento. Tipica del bacino Mediterraneo, fu introdotta in Europa da Plinio il Vecchio nel 20-30 d.C. a seguito delle conquiste Romane. Furono gli Arabi, che conquistarono la Sicilia nel 900 ad incrementare la coltivazione del pistacchio nell’isola, particolarmente alle pendici dell’Etna, dove trovò l’habitat natu
rale ed un giusto connubio tra la pianta e il terreno vulcanico ricco di sali minerali e continuamente concimato dalle ceneri vulcaniche che ricadono durante le eruzioni del Mongibello o ‘a’ Muntagna’, come la chiamano gli antichi. Qui i contadini brontesi con tecniche tramandate da padre in figlio hanno trasformato le desertiche colate laviche dette ‘sciare’ in un Eden per la produzione di frutti saporiti che, dal punto di vista del gusto e dell’aroma, sono della più pregiata qualità, con un colore verde smeraldo unico rispetto al tipo di colorazione giallo americano-asiatico. La Sicilia è la regione Italiana dove si produce la maggior quantità di pistacchio della specie botanica Pistacia vera. Ma è una specie arborea spontanea, il ‘terebinto’ (Pistacia terebinthus), la fortuna di Bronte, che viene utilizzata dagli agricoltori fin dall’antichità come portainnesto della pianta di pistacchio Pistacea vera: senza di esso non crescerebbe sulla sciara, è resistente alla siccità ed ha la caratteristica di crescere sulle fessure della roccia vulcanica fino a spaccarla, di qui il nome spaccapetri. La Pistacia vera è una pianta dal fusto corto non dissimile nel suo aspetto al fico ed è longeva (dai 200 ai 300 anni), ha uno sviluppo molto lento e riesce a produrre solo dopo quasi 10/15 anni dal suo innesto: produce frutti, drupe, dalla buccia color perla, contenenti semi caratteristici dal pericardio rosso violaceo e mandorla verde smeraldo. La raccolta viene fatta manualmente nel mese di settembre ogni 2 anni e negli anni dispari, per migliorare la qualità, la quantità e per eliminare un parassita che attacca il frutto, negli anni pari di scarica, i frutti vengono tolti a mano con la tecnica chiamata “potatura a verde”. Dopo la raccolta il frutto viene smallato ma rimane racchiuso ancora nel suo caratteristico guscio che ne preserva la fragranza ed il sapore.Pistacchio di Bronte Essiccato al sole per 3/4 giorni il pistacchio sarà pronto per essere sgusciato, con le tipiche screziature violacee della sua pellicola protettiva (per i brontesi è ‘u garìgghiu’) per poi essere pelato attraverso una breve esposizione dei frutti al vapore acqueo ad alta pressione, asciugato e portato ad una umidità del 3-4%. Questo procedimento, celere e delicato, mette a nudo il verde smeraldo dei frutti, il colore dell’autentico pistacchio di Bronte. A Bronte se ne raccolgono circa 30 mila quintali, l’80% della produzione italiana. Una ricchezza di oltre 20 milioni di euro, che rappresenta poco più dell’1% della produzione mondiale di pistacchi. Viene apprezzato nei mercati italiani ed esteri per l’originalità del gusto e l’adattabilità in cucina e in pasticceria. E’ usato nell’industria dolciaria sopratutto per preparare torte, paste, torroni, mousse, confetti, gelati, e granite, cannoli. Il ‘pistacchio verde di Bronte’, perennemente minacciato da importazioni di qualità assolutamente inferiore, ha oggi conquistato il dovuto riconoscimento europeo di prodotto Dop. La Denominazione d’Origine Protetta riguarda una zona di produzione, compresa fra i 300 e i 900 metri s.l.m., che ricade nei territori di Bronte, Adrano e Biancavilla.


Alessandro Alberto Schilirò
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