L’opzione “ZERO” è una scelta?
- 05 settembre 2016
- Comunicazione
- Categoria:Blog
Nasce con questo articolo una serie di approfondimenti, provocazioni, commenti a notizie sul tema del primo soccorso affrontati da Riccardo Sedola – Assisistant Instructor della Wilderness Medical Association – per approfondimenti www.wildmed.com
Siamo in montagna (ma anche in pianura, perché no?), e un nostro compagno di escursione oppure un nostro cliente -se siamo guide- si fa male. Una distrazione, una scivolata, un piede in fallo e in un attimo la nostra giornata cambia, il nostro amico è seduto a terra tenendosi stretta una caviglia, lamentandosi in maniera più o meno rumorosa, mentre noi cerchiamo di aiutarlo recuperando le nostre nozioni di primo soccorso. Naturalmente siamo in gruppo e quindi ognuno si sente in diritto di dire la sua opinione:
E’ rotta…
No, è slogata.
Macché è solo una storta
E’ una distorsione.
No, uno stiramento.
Se è muscolare ci vuole il caldo, se è osseo ci vuole il freddo…
Il nostro gruppo di escursionisti diventa un gruppo di medici improvvisati.
… Ho fatto il corso come volontario.
… Io ho il BLSD.
… Mio cognato è medico.
E noi siamo in mezzo a questa situazione… Proviamo ora a capire a mente fredda, seduti a tavolino come i famosi quattro amici, cosa succede, cosa dobbiamo sapere e cosa invece non ci interessa affatto.
Beh, intanto la responsabilità. Sì perché se sono nostri accompagnati abbiamo la responsabilità quantomeno morale di garantire la loro sicurezza e, comunque vada, se qualcosa va storto ci potremmo trovare a dover giustificare le nostre scelte (o le nostre NON scelte) a un giudice.
A questo punto anche “l’opzione zero” (non faccio nulla, non tocco niente e chiamo il 118) è comunque una scelta che potremmo dover giustificare, quantomeno moralmente.
Nei corsi WAFA (Wilderness Advanced First AID), insegniamo a ragionare con un approccio orientato alla risoluzione rapida dei problemi arrivando a scelte che abbiano senso nel contesto in cui le si applica, anche se non sempre del tutto ortodosse rispetto alle modalità di soccorso standard.
La prima reazione infatti è legata allo scenario in cui ci troviamo e, badate bene, sono le stesse valutazioni che farebbero i soccorritori al momento del loro arrivo: la scena è sicura? Il nostro cliente è seduto tranquillamente sul sentiero in una giornata tiepida in un posto sicuro? Oppure è immerso in un torrente di acqua gelida in montagna al tramonto?
Sembra una considerazione banale ma non lo è affatto, soprattutto se consideriamo casi meno estremi. Il fatto è che, ancora prima di chiedermi che tipo di infortunio abbia il mio cliente, mi devo preoccupare di:
Allontanare eventuali pericoli dall’infortunato (e dal resto del gruppo).
Oppure, allontanare tutti dagli eventuali pericoli.
Esatto m u o v e r e l ’ i n f o r t u n a t o.
Ci sono situazioni in cui è necessario muovere l’infortunato, anche se ci hanno sempre detto che non va toccato, né spostato. Questo è il caso della cosiddetta “auto in fiamme”. Ha senso preoccuparsi di proteggere la schiena di una persona che è dentro un’auto che sta per esplodere a causa di un incendio? Ha senso “l’opzione zero”? No, e vi assicuro che la pensano così anche i vigili del fuoco, il soccorso alpino, il 118, l’esercito, etc… Se non posso proteggerlo da un pericolo imminente, lo allontano. Corro il rischio di paralizzarlo? Può darsi, ma posso almeno salvargli la vita. Questione di priorità.
Naturalmente non è tutto sempre così ovvio, soprattutto nei nostri casi dove, per fortuna, gli infortuni più comuni sono spesso molto, molto meno gravi. Non voglio spaventarvi, ma farvi capire che sperare che non succeda nulla e mettere la testa sotto alla sabbia contando sempre solo “sull’opzione zero” non è una soluzione sicuramente etica, ma che tutto sommato non ci tutela neppure poi tanto dal punto di vista della responsabilità.
Saper scegliere non è affatto facile, ma è qualcosa che si impara, soprattutto con un buona formazione. Nei nostri corsi insegniamo a spostare un infortunato, perché purtroppo a volte può capitare e saperlo fare ci permette di scegliere come procedere con maggiore tranquillità.
Ma torniamo al nostro infortunato; diciamo che per semplicità si trovi in sicurezza, così come il gruppo che intanto ne sta decidendo la patologia con un foga da discussione al bar del lunedì.
Ci interessa realmente sapere cos’abbia? Pensiamo seriamente di essere così bravi da poter fare una diagnosi sul campo, senza una radiografia? Ma soprattutto ci cambia qualcosa sapere se sia una frattura, una storta, una contrattura, una slogatura o chissà cos’altro?
Voglio dire, si tratta di qualcosa che riusciamo a riparare? No, sicuramente non noi, e sicuramente non sul campo. Nella WMA evitiamo di fare considerazioni cliniche, ma ci riferiamo a tutti gli infortuni scheletro-muscolari con una valutazione molto più semplice, di tipo funzionale:
Riesco ad usare l’arto? Si tratta di un dolore che mi permette di continuare ad usarlo, magari zoppicando un po’, con una fasciatura, o con un bastone di appoggio?
Oppure
Non posso utilizzarlo, è troppo doloroso non posso fare nulla.
Nel primo caso lo chiamiamo STABILE, nel secondo NON STABILE. Nel primo caso posso fare qualche valutazione su quanto manchi alla macchina, al primo rifugio, a un posto di soccorso. Posso immobilizzare l’arto e avviarmi lentamente con l’infortunato in modo da evitare che mi colga il buio, il freddo, la fame, il maltempo, e intanto mandare qualcuno in avanti a chiedere aiuto.
Nel secondo caso non ho scelta: devo chiamare qualcuno ad assistermi, oppure devo organizzarmi per trasportare con mezzi di fortuna l’infortunato o addirittura bivaccare se le condizioni climatiche non permettono diversamente.
E guardate bene anche queste sono decisioni che dovremo prendere assumendocene le responsabilità.
Ha senso lasciare una persona seduta su un prato bagnato per qualche ora, magari sotto l’acqua in attesa di un soccorso oppure è meglio organizzare un trasporto di fortuna costruendo una barella e andare incontro ai soccorsi?
Non c’è una risposta a questa domanda, non c’è mai un giusto sbagliato, ma ciò che ci si aspetta da una guida è che sappia fare scelte che abbiano senso per il contesto in cui ci troviamo. Che le prenda velocemente e sulla base di un analisi che tenga conto della scena, del tipo di infortunio e del contesto ambientale in cui ci si trova. E soprattutto che sia in grado di giustificare la sua scelta sulla base dell’analisi che ha fatto. Dopo queste considerazioni, siamo ancora sicuri di volerci limitare “all’opzione zero?”
Riccardo Sedola
Socio AIGAE Emilia Romagna
Iscritto al Registro Italiano Guide Ambientali Escursionistiche
Assisistant Instructor della Wilderness Medical Association